Per chi non lo sapesse Osgood Perkins è il figlio di Anthony Perkins, un nome che, ti basta pronunciarlo, e subito cominciano a scorrere, nella mente, le iconiche immagini della scena delle coltellate nella doccia di "Psycho". Un caposaldo del cinema horror.
E allora non è un caso - o forse si - che proprio il figlio del protagonista di quel film sia finito per diventare un autore di riferimento di quello stesso genere, trovando di recente, con "Longlegs", una sorta di consacrazione e di ribalta. Eredità, la potremmo chiamare. Ed è qualcosa a cui si è destinati e da cui raramente, a quanto pare, si riesce a sfuggire. Perché ti incastra, ti condiziona. Tant'è che a pochi mesi di distanza da quell'ottimo successo, il nome di Perkins-figlio finisce per essere accostato a un progetto basato su un vecchio racconto di Stephen King. Un racconto horror, ovviamente. Con James Wan - un altro che pure ormai fa fatica a staccarsi dal giro - pronto a supportarlo e a produrlo.
Nasce cosi "The Monkey", carico di aspettative a tal punto che qualcuno, prima dell'inizio della proiezione stampa del film, sente addirittura il bisogno di presentarlo, paragonando i nomi di cui sopra agli Avengers, "se solo questi facessero parte del cinema horror!". II che, potrebbe pure essere vero, ma solo sulla carta. Perché gli Avengers, per definizione, tendono a portare a casa il risultato, nel bene e nel male, mentre qui il tridente da paura messo in campo, sembra più volersi accontentare di mettere su un cazzeggio tipico da serata fra amici, in preda agli effetti dell'alcol e dell'entusiasmo. Che ci può stare, sia chiaro, eppure l'impressione è quella di un'occasione in parte sprecata. Perché dietro al giocattolo - ma non chiamatelo giocattolo, mi raccomando - della scimmia maledetta, a cui basta girare la chiave sulla schiena per farle suonare i tamburi e permetterle di causare morti casuali e spettacolari (strane), c'era proprio la tematica intrigante (per quanto non originale) dell'eredità da maneggiare. Un'eredità funesta, spaventosa, caduta accidentalmente in testa a due fratelli gemelli rimasti senza padre, fuggito un giorno qualunque con la scusa di andare a comprare le sigarette. Due fratelli che, anziché farsi coraggio e unirsi, reagiscono alle difficoltà e alla sfortuna allontanandosi ulteriormente, covando rancore, odio, sete di vendetta.
Il risultato è quello di un film grottesco, fuori di testa, l'antitesi di ciò che era stato "Longlegs", e quindi dove la tensione è assente, il coinvolgimento idem e la trama solo un flebile scheletro, buono per attaccarci attorno una serie di morti creative accompagnate da sangue a fiumi, che peraltro rievocano molto la saga di "Final Destination". Si ridacchia una volta, due, ma a furia di esagerare e di non cambiare mai registro, si comincia a storcere un po' il naso, a perdere interesse. La sensazione è che lo show splatter, ricamato di ironia, serva molto più ad allungare il brodo, a rendere una storia adatta per un mediometraggio, plausibile abbastanza per somigliare a un lungo. Infatti gira a vuoto, a un certo punto, "The Monkey", si sfilaccia, stanca, finché non arriva il momento di tornare sui binari giusti che teoricamente - ma, di fatto, non è cosi - dovevano rappresentare la sua reale forza e centro d'interesse: con uno dei due figli che, nel frattempo, e suo malgrado, è diventato padre e sente il bisogno di farsi da parte, nella speranza che ciò possa bastare ad interrompere la catena funesta e di morte che contraddistingue la sua dinastia.
Ma quando sceglie di recuperare i giusti giri, ormai, è tardi per Perkins.
La piega presa è irrecuperabile, è definitiva, e pure se l'ultimo spaccato rappresenti il cuore del film che avremmo voluto vedere, appena dopo l'abbondante prologo, il sospetto è che dall'etichetta di b-movie un po' troppo cazzone non possa più scappare, "The Monkey", e che sia solo l'ennesimo pretesto, utile per generare un contenuto. Da piattaforma, da seconda serata, dimenticabile.
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