Il titolo italiano sembra uno di quelli scelti in fretta e furia, del tipo: "Dai, mettiamo il primo che ci viene, così andiamo a pranzo!". Perché "Il Padre Dell'Anno", l'Andy interpretato da Michael Keaton, non lo è mai stato e non lo sarà mai. E non per cattiveria, ma per via dell'indole, del suo carattere, come si gli mancasse proprio qualcosa all'interno del DNA. Meglio, allora, restare focalizzati sul titolo originale, ovvero su quel "Goodrich" che è il suo cognome, certo, ma pure il nome della galleria d'arte che ha messo sempre avanti a tutto: alla moglie, alla figlia, e poi ancora alla seconda (giovanissima) moglie e ai due gemelli avuti con lei.
Volessimo attribuirgli una medaglia d'onore, allora, a Andy Goodrich andrebbe quella inedita del pessimo padre e del pessimo marito, suo malgrado. Perché lui è uno di quelli, per intenderci, che non sa accorgersi che la sua attuale compagna è dipendente dai farmaci e che quando viene avvisato da lei, nel cuore della notte, che ha deciso di entrare in un centro di riabilitazione, per disintossicarsi, ciò che ha da dirle è: "E da cosa?". Mentre chiunque intorno a lui era al corrente della situazione. E quando resta solo coi due gemellini, ai quali deve star dietro come non ha mai fatto prima, rischia anche di mandarne uno in shock anafilattico, perché non al corrente delle sue allergie. Insomma, in poche parole, "Goodrich" è uno di quei film dove c'è un protagonista che, da anni, cammina sulla strada sbagliata e all'improvviso si trova costretto a fare i conti coi suoi errori e a sistemare la sua vita. A imparare a fare il padre, in questo caso, e a comprendere perché non ha mai funzionato davvero come marito (e come uomo?). E l'unico modo che ha per cominciare questo processo è quello di sperimentare la sua solitudine e di veder sfiorire il successo di un lavoro - l'uomo d'affari, impegnato in mostre artistiche - a cui ha dato tutto e che non gli restituisce più le soddisfazioni di una volta, al massimo montagne di debiti.
Dalle premesse, allora, è piuttosto facile intuire come evolveranno gli eventi, dove andrà a parare la pellicola scritta e diretta da Hallie Meyers-Shyer. Anche perché, di colpi di scena, è bene dirlo, non è che ce ne saranno poi così tanti. Eppure, la visione è comunque piacevole, appassionante, positiva, e gran parte del merito va ad un Keaton in stato di grazia che, con la sua immensa bravura, riesce a rendere unici ed emozionanti dei momenti semplicissimi: come potrebbe essere quello della figlia maggiore, interpretata da Mila Kunis, pronta a partorire, dopo aver avuto una bruttissima litigata con lui per l'ennesimo ritardo e promessa non mantenuta. E quando in ospedale, in preda alle doglie, viene raggiunta dal suo compagno, quest'ultimo per tranquillizzarla cerca di farle immaginare come sarà la loro vita da quel momento in poi, con Keaton - che fino a quel momento, non riusciva a capire cosa non gli quadrasse di quell'uomo scelto dalla figlia - che, ascoltandolo, si rende conto che, in realtà, lo invidiava perché avrebbe voluto essere come lui: presente, adeguato, affettuoso. E questo noi lo intuiamo solamente dalle espressioni del suo viso, dalle lacrime che trattiene a fatica e dal sorriso spontaneo col quale finalmente va a sciogliere i suoi nodi.
Una scena semplice, ma che fa commuovere e che mette i brividi per immensa bravura.
Una scena semplice, ma che fa commuovere e che mette i brividi per immensa bravura.
Il che è più che sufficiente, oggettivamente, ed è più di quanto ci si sarebbe potuto aspettare da una pellicola che, come detto, si rifà a quello che a tutti gli effetti è da considerarsi un archetipo. Un archetipo che forse, mai esplicitamente, ma in maniera piuttosto palese, viene arricchito qui da un girl power in ascesa che il protagonista - uomo intelligente, ricco e abituato ad avere in mano il potere - non ha mai compreso davvero e con il quale, lentamente, per uscire dal baratro, deve imparare a connettersi e a comunicare. Quel tocco femminile (quel mondo) che, oltre a riflettere un po' i tempi, magari è proprio la chiave rinfrescante di una storia che correva il rischio di apparire fin troppo prevedibile e ordinaria.
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