Eddington - La Recensione

Eddington Poster Ita

Ari Aster
è pronto a fare il grande salto.
Nonostante, la sua discutibile - fin qui - filmografia e il recente flop di "Beau Ha Paura" con "Eddington" cerca palesemente una consacrazione. E, per certi versi, potremmo azzardare che la trova pure, non quella che voleva lui, magari, ma quella che si merita.

Sì, non ci vuole un genio per apprendere da questa intro che non sono il suo fan numero uno. Che non ho sopportato "Hereditary", non ho apprezzato "Midsommar" e non ho fatto opposizione al massacro ricevuto da quella follia incomprensibile e psicanalitica partorita in seguito (la prima ora, tuttavia, ricordo di averla apprezzata parecchio). Però è palese che stavolta è diverso, che stavolta Aster vuole puntare in alto e vuole farlo portandosi dietro ogni spettatore. Non spaventandolo, non scioccandolo, ma prendendolo per mano e mostrandogli la realtà delle cose. Seppur dal suo punto di vista. Quello grottesco, ironico, ispirato al mondo coeniano a cui, chissà, forse gli piacerebbe appartenere, diventare un tesserato. E, allora, eccolo mettere in piedi questa storia ambientata in tempi di Pandemia - si, nel 2020 - dove uno sceriffo complottista, figlio di Trump (e della sua politica) e con le fattezze di Joaquin Phoenix, prende di punta Pedro Pascal, Sindaco di questa piccola cittadina del New Mexico, perché ha imposto le mascherine obbligatorie come provvedimento di sicurezza. Libertà negata, grida sui social, eppure, sotto il suo grido di protesta si cela qualcos'altro, ovvero il passato di una moglie - interpretata da Emma Stone - rimasta traumatizzata da un evento che la madre è convinta essere stato provocato proprio da quel Sindaco lì (ma non è detto).

Eddington Ari Aster

Basta un attimo, insomma, il tempo di sistemare le carte in tavola, che questa Eddington diventa specchio dell'America intera. Un America sempre più individualista, più spaccata, violenta e priva di buon senso. Aster, sostanzialmente, si limita a prenderla in giro, a mostrarla per quello che è oggi se vista da fuori, evidenziandone uno stato psico-fisico, ormai compromesso, e mettendo in risalto le idiosincrasie, le ipocrisie, la pericolosa megalomania. Lo fa, cercando una via che dovrebbe piazzarsi a metà tra il serio ed il faceto, con il piglio di chi è convinto di avere argomenti, illuminazioni, cose da dire. La verità è che, pur prendendosi tutto il tempo che desidera (due ore e mezza), "Eddington" sembra girarci un po' troppo intorno, aggiungere eccessiva carne al fuoco - Black Lives Matter, la supremazia bianca, la cultura woke, la piaga dei social, gli Antifa - e allargare un quadro che, anziché analizzare il paziente, capirne i sintomi e le possibili cure, si limita a farlo esibire sul palco, assicurandosi che produca un reel pregno delle sue specialità.

Così, alla lunga, è normale che cominci a girare un po' a vuoto, a buttarla in caciara, senza l'abilità di riuscire a intercettare quel mood nonsense che sicuramente voleva catturare, ma che rintraccia solo in sporadiche occasioni. Il film di Aster è uno di quelli che il cinema americano non poteva lasciarsi sfuggire, che prima o poi qualcuno avrebbe deciso di voler fare - e non è detto che non ne arrivi un altro, migliore speriamo - perché servito praticamente su un piatto d'argento. Tuttavia, per dirla con una battuta: non è assolutamente questo il prodotto di cui avevamo bisogno, sebbene per tanti motivi, probabilmente, è quello che ci meritiamo.

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