If I Had Legs I'D Kick You - La Recensione

Parlando a un amico, qualche minuto prima di entrare alla proiezione stampa di "If I Had Legs I'D Kick You", avevo confessato quanto l'influenza della casa di produzione A24, dietro al film, fosse l'unica incognita per la quale covavo delle brutte sensazioni. Bilanciate, però, dalla presenza di Rose Byrne - già premiata all'ultimo Festival di Berlino per la sua interpretazione - per la quale provo da sempre, invece, una grande simpatia, incrementata di recente dalla visione della (divertentissima) serie comedy "Platonic", nella quale è a dir poco strepitosa.

Due forze contrarie, insomma, che non erano affatto proporzionate e bilanciate, perché per quanto un'attrice - o un attore che sia - possa spendersi per fare del suo meglio, se la maniera con cui si decide di raccontare una storia è sbagliata, il risultato sarà comunque compromesso. E al film di Mary Bronstein bastano davvero una manciata di minuti per comunicare a noi spettatori che la crisi di nervi di Linda - questa madre e questa moglie che deve sopportare la lontananza da un marito in viaggio per lavoro, un problema alimentare della figlia, costretta a vivere (temporaneamente) con una sondina (e quindi un buco) sopra l'ombelico e un grosso buco (che è pure metaforico) sul soffitto della sua casa per il quale è obbligata a trasferirsi in hotel - sarà trattata con la massima anti-convenzionalità, riempita di simbolismi, di stranezze e qualsivoglia soluzioni abbastanza fiche, da risultare "alternative" al giudizio di chiunque stia osservando. Un po' come quando una persona che conosciamo benissimo comincia a comportarsi in modo anomalo, irriconoscibile, e noi sappiamo che sta indossando una maschera, che quel comportamento non è reale, ma caricato, eppure lei continua a tenerla perché in quel contesto è convinta l'aiuti ad emergere, a spiccare. E "If I Had Legs I'D Kick You", infatti, spicca, ma per motivi tutti sbagliati. Spicca per il nervosismo che riesce a provocare a ripetizione, per scelte di sceneggiatura manipolatorie e viziate e per come non si fidi abbastanza di una protagonista che, da sola, e basandosi su un canovaccio cucito intorno a fatti più o meno accaduti (alla sua autrice), avrebbe potuto lo stesso portare a casa il film, con esiti sicuramente migliori e più efficaci.

If I Had Legs I'D Kick You Rose Byrne

Del resto, è difficile non perdere la pazienza, quando - ed è solo uno dei vari esempi disponibili - una paziente di Linda - che vale la pena aggiungere, fa la psicologa, nonostante stia passando un periodo in cui non dorme, beve alcol ad ogni ora ed è instabile - sparisce, lasciando un neonato nella sua stanza e lei, non sapendo come comportarsi, corre a bussare alla porta accanto per chiedere aiuto al suo terapeuta, il quale la caccia via, minimizzando il problema perché sta lavorando, e poi ripiomba da lei, due secondi dopo, mandando a casa un paziente appena arrivato, perché quel problema all'improvviso ha la priorità. Comportamenti incomprensibili, senza logica, al seguito dei quali potrebbe valere qualsiasi cosa, l'importante è che l'effetto estraniamento, estro e fantasia abbiano la meglio e procedano a sovrastare il resto. Tant'è che le idee buone del film - che ci sono, sia chiaro - finiscono per passare praticamente in secondo piano, perdere di rilevanza: come la scelta di restare stretti - quasi perennemente - in primo piano sul viso di Linda, catturando la sua crisi e le sue emozioni (e l'intensità della performance), oppure la soluzione interessante - e forse non sfruttata al massimo delle sue potenzialità - di non mostrare mai sua figlia, se non inquadrandola dalle ginocchia in giù, evitando di scorgere la sua fisionomia.

Il tentativo è quello di massimizzare l'esperienza disturbante, strizzare l'occhio al cinema di Lynch (e al body-horror) e gonfiare le incognite di un dramma che è innanzitutto psicologico: Esiste davvero questa bambina? Dobbiamo fidarci di ciò che vediamo attraverso l'occhio di Linda?. Ma pure di esaltare una forma che evidentemente per Bronstein ha più valore del contenuto che, pure, si concede a dei cliché (moderni, forse?) discutibili, che ostentano la figura della donna-vittima e quella dell'uomo messo in costante cattiva luce (non se ne salva uno): messaggi di cui onestamente - instabilità mentale o meno - un film del genere non aveva affatto bisogno. Né tantomeno la Byrne che, per quanto mi riguarda, sebbene bravissima e impeccabile, continuerò a preferire nel suo ruolo in "Platonic" (che vi consiglio, a proposito). Libero dalle zavorre e dalle furbe trovate di un brand ormai modaiolo come l'A24. 

Trailer:

Commenti