Il timore a cui fa riferimento Richard Linklater, rispondendo a chi gli chiede se avesse pensato a come il suo "Nouvelle Vague" sarebbe stato accolto in Francia, è lo stesso di chi è assolutamente consapevole della materia che sta maneggiando del perché lo sta facendo. È il timore di un cinefilo, di uno che del cinema (della sua Storia) ne percepisce peso, valore e responsabilità (e bellezza, soprattutto) e che, proprio per tutti questi motivi (e oneri), difficilmente, forse, avrebbe potuto realizzare un film che non fosse così meraviglioso, sincero ed entusiasmante (e apprezzatissimo anche dai francesi). Un omaggio nostalgico, e pure romantico, dedicato all'epoca e al fermento di un movimento rivoluzionario, il cui apice probabilmente è stato raggiunto con la realizzazione dell'opera prima di Jean Luc Godard, quel "Fino All'Ultimo Respiro" che in pratica ha aperto le porte al cambiamento definitivo, totale, e di cui Linklater ci tiene particolarmente a raccontare genesi, lavorazione e aneddoti.
E, allora, eccoli Jean Luc Godard, François Truffaut e Claude Chabrol, mentre bevono seduti intorno a un tavolo e discutono di cinema: di quello loro, di quello degli altri, di quello che è ora e di quello che, secondo loro, dovrebbe essere (domani). Eccoli, mentre si prendono in giro e mentre prendono in giro i film e gli artisti, perché di fare i critici, del resto, non si smette mai, tantomeno se si (nasce e si) fa parte di una redazione prestigiosa come quella di Cahiers Du Cinéma. Dei tre, però, Godard è l'unico a non darsi pace, ad essere inquieto. Non ce la fa a sopportare il fatto di non avere ancora esordito dietro la macchina da presa, di non aver compiuto quel passo (salto?) per cui ormai si sente pronto e che in questo momento della sua vita è convinto di dover fare assolutamente, senza perdere altro tempo. E il progetto giusto, in realtà, si trova già sopra al tavolo, lui lo sa benissimo e con tanto di produttore bendisposto ad assecondarlo: perché il soggetto è stato scritto da Truffaut, fresco reduce del successo raccolto a Cannes con "I 400 Colpi". Non resta quindi che mettere in piedi la produzione, trovare i tecnici adatti e convincere i nomi delle due star protagoniste: un Jean-Paul Belmondo ancora semi-sconosciuto e una Jean Seberg a dir poco titubante, ma comunque incuriosita.
Insomma, decide di mandarci un un brodo di giuggiole, Linklater, a cui davvero bastano una manciata di inquadrature (e di secondi) per ingraziarsi il consenso di ogni cinefilo presente in sala. Eppure, "Nouvelle Vague" ha tutte le carte in regola per persuadere anche quel tipo di pubblico che, magari, del cinema non ne fa proprio un ossessione, ma è affascinato dalle belle storie, quelle un po' assurde, straordinarie (nel senso di non ordinare) e quindi divertenti. Perché vedere Godard all'opera è un piacere continuo, travolgente, amplificato dai volti increduli e confusi di chi gli sta intorno, o peggio ancora dalle nevrosi di coloro che si ostinano a volerlo capire, ma sbattono ogni volta sopra un massiccio muro di gomma: la povera Jean, in particolare, dovrà abituarsi a brancolare nel buio più profondo. Nessuno si rendeva conto - e nemmeno Godard stesso, probabilmente - che in quei venti giorni di riprese, si stava scrivendo la storia. Una storia enorme, fondamentale, che avrebbe riscritto per sempre le regole del cinema e stravolto gli schemi. Merito dell'anima (e della mente) anarchica di un autore per il quale è facile lasciarsi stregare e perdere la testa: basti pensare a come era solito assistere alle proiezioni in sala, con quegli occhiali scuri che non toglieva mai dalla faccia e che aiutavano ad aumentarne il mistero (dei pensieri) e l'egocentrismo. Un genio e un talento incompreso, perlomeno dalla maggior parte dei comuni mortali, sebbene di dubbi e di paure era circondato persino lui, come confessa a Rossellini nella stupenda scena in macchina, verso l'aeroporto, che anticipa le riprese.
La sensazione è che non sbagli nemmeno un colpo Linklater (altro che timori), realizzando la lettera d'amore più bella e affettuosa che il suo spirito d'autore indipendente potesse partorire. La sua ricostruzione di "Fino All'Ultimo Respiro" è una giostra di emozioni, di risate, di follie e di rammarico verso un'epoca che sembra ormai lontanissima e irraggiungibile. Non tanto sotto l'aspetto temporale, quanto sotto quello della libertà creativa, di mutamento e di espressione.
Tant'è che vedere un produttore sottostare ai capricci di un regista, oggi fa un effetto così anacronistico da accrescere vertiginosamente le soddisfazioni.
Tant'è che vedere un produttore sottostare ai capricci di un regista, oggi fa un effetto così anacronistico da accrescere vertiginosamente le soddisfazioni.
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