Rental Family: Nelle Vite Degli Altri - La Recensione


È imprescindibile contestualizzare. In Giappone esistono alcune agenzie che si occupano di mettere a disposizione "attori (e attrici) in affitto" pronti a impersonare dei ruoli nelle vite reali degli altri. In base alla figura che serve - un famigliare, un amico, un'amante, uno sposo - c'è un catalogo di persone pronto a colmare quel vuoto specifico e poi a scomparire per sempre a lavoro finito. Ed è da questa premessa che la regista e sceneggiatrice Hikari parte per dare vita alla sua pellicola, raccontando la storia di un uomo - il Phillip di Brendan Fraser - che pure giapponese non è, e che da americano vive lì da circa otto anni, in attesa dell'occasione giusta (lavorativa e privata) che possa regalargli una svolta.

E l'occasione giusta è anche la più improbabile, perché Phillip - che nel frattempo accetta qualsiasi ingaggio pur di guadagnarsi da vivere - a un certo punto entra a far parte di questa assurda agenzia, provando a prendere le misure e a comprenderne gli (assurdi) intenti. Li per li, gli sembra quasi di svolgere l'ennesimo lavoro uguale all'altro, una variante più stramba dei consueti set cinematografici e televisivi, ma poi quando arriva il turno di interpretare il padre di una bambina priva di figura paterna - ora necessaria per l'ammissione a una prestigiosa scuola - e un finto scrittore per un vecchio attore famoso malato di Alzheimer, volenteroso di scrivere le sue memorie, comincia a rendersi conto di quanto l'attaccamento emotivo per lui sia qualcosa di imprescindibile, praticamente un bisogno, nonostante il ruolo gli vieti categoricamente di interferire con la fredde indicazioni (e i limiti) che è chiamato ad interpretare. Perché, in fondo, quello di cui vuole parlare Hikari è la necessità di calore umano - che abbiamo tutti, per carità, ma che forse abbiamo ancora di più in tempi come questi - e di comunità, di affetto. La risposta a un mondo in cui l'attenzione verso gli altri, verso il prossimo e verso i cari, latita e, magari, l'unico modo per curare questa lacuna è quello di pagare un servizio che ne garantisca una fedele emulazione.

Un servizio che, come prevedibile, finge di non far caso alle migliaia di falle che si porta dietro, agli effetti collaterali, ai rischi, all'inganno di facili soluzioni che illudono chi le adotta di poter sopperire all'autenticità dei sentimenti con la semplice battitura di un secondo ciak: pur non riuscendo a rimpiazzare ciò che è stato, o ciò di cui siamo (ancora) alla disperata ricerca. E Hikari si dimostra un'autrice sensibile e ironica nel prendere in mano tematiche così delicate. Riesce a non cadere mai nella retorica, a mantenere un impianto dramedy (a volte, inscenando la farsa) e a centellinare i momenti più intensi facendo sì che quando arrivino siano sempre liberatori, dolci e commoventi. Perché, sebbene potrebbe non darne l'impressione, "Rental Family: Nelle Vite Degli Altri" è un film assai più complicato di quello che appare (o che finge di voler apparire) e dentro il quale una scelta di casting come quella di Fraser - per espressioni, provenienza, intensità - va a inserirsi perfettamente, contribuendo a dare alla storia quel quid in più, decisivo a toccare le corde della nostra empatia. La maniera con cui comunica i silenzi, i dubbi e i conflitti interni del suo personaggio - che somiglia ad un triste gigante buono - sono figlie di una performance in sottrazione meravigliosa e bilanciatissima, un corpo estraneo in terra straniera con il quale è assai semplice entrare in connessione e identificarsi.

Del resto anche lui, come tutti, sta cercando il suo posto nel mondo, la sua felicità, il brivido di un abbraccio. Il calore che può darti solamente una persona cara, a prescindere dal ruolo che questa interpreta nella tua vita. Perché se è vero che per gli adulti dire bugie è più facile che dire la verità, è altrettanto vero che certe bugie possono servire a fare del bene. Al punto da diventare quasi vere, se non salvifiche.

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