No: I Giorni dell'Arcobaleno - La Recensione

Quando la dittatura di Pinochet nei confronti del popolo cileno giunse - nel 1988 - a quindici anni di affermazione, la fortissima pressione internazionale costrinse il paese ad indurre un plebiscito per decidere - tramite un referendum - se il loro presidente sarebbe dovuto rimanere ancora al governo della nazione oppure abbandonarla all'istante. La campagna di sensibilizzazione per il cittadino - perché questo si convincesse a votare “Si” o “No” - ebbe luogo durante tutto il mese che precedette le votazioni, con spazi televisivi di quindici minuti al giorno in cui entrambe le fazioni godevano di piena libertà (o quasi per quanto riguardava l’opposizione) per mostrare e dire ogni cosa ritenessero opportuna a rafforzare il loro punto. La resistenza alla dittatura, prendendo la palla al balzo, arruolò allora il creatore pubblicitario René Saavedra, con la convinzione che, se un miracolo serviva per contrastare il potere corrotto, lui di certo era l’unico a poter conoscere il linguaggio giusto per invocarlo.

Il regista Pablo Larrain, con scelta spiazzante e interamente personale (e da ammirare) dirige questo pezzo importante della storia del suo paese optando per un profilo estetico decisamente fuori dall'ordinario che rispolvera il formato dell’immagine in 4:3 e sbiadisce i colori con una luminosità e un contrasto tipici di quelle fotografie datate e sciupate dal tempo. Tutto ciò è interessante, soprattutto perché lo spaccato che il suo “No: I Giorni dell'Arcobaleno” vuole raccontare vive di un’attualità che proprio al tempo stesso resiste e non accenna a perdere di efficacia: un popolo stanco di un governo che non lo rappresenta lotta una battaglia - forse inutile e controllata - con tutta la forza e la voglia di cambiare che porta dentro. L’interesse del regista però è sedimentato su ben altro aspetto, e sostanzialmente riguarda il mezzo con cui questa lotta non solo trova un fertile terreno ma sa anche, contro ogni previsione, girare sulla tavola quelle carte che chiunque pensava fossero destinate a rimanere scoperte.

Fondamentale diventa quindi la figura del pubblicitario interpretato da un grandioso Gael Garcia Bernal, il quale adotta, contro chi negli anni aveva seminato solo tensione e violenza, la tattica atipica fondata sul linguaggio televisivo creativo ed efficace, lo stesso utilizzato per vendere classici prodotti alimentari ai consumatori. La campagna a favore del “No” diventa così uguale ad uno spot promozionale: rassicurante e convincente per chiunque ci si trovi al cospetto. La parola d’ordine diventa allegria, quella difficile da accettare per alcuni, quella traditrice di una situazione tutt'altro che serena, ma l’unica abbastanza efficace per andare ad unire fette generazionali distanti e sfiduciate verso una corrente orientata sull'aria del cambiamento.

Con mano sicura Larrain si fa quindi narratore invisibile e con la parvenza vintage impiegata alla sua pellicola ne rafforza maggiormente la veridicità, diventando ancor più energico quando vuol trasportare lo spettatore all'interno della crisi vissuta non solo da una nazione ma anche (e di più forse) dai singoli cittadini. Ispirato all'inedito monologo scritto da Antonio Skármeta e intitolato “Il Plebiscito”, “No: I Giorni dell'Arcobaleno” acquisisce così la sua massima potenza, non puntando sul facile messaggio il governo è del popolo, che lo avrebbe ridimensionato smisuratamente, ma andando invece ad aggredire una considerazione assai più stimolante quanto preoccupante.

Lo strumento televisione oggi (ma già ieri) ha raggiunto un potere talmente elevato da influenzare ormai le opinioni del singolo, e pertanto quelle di un intero paese. Qualunque cosa - giusta o sbagliata - se venduta nella confezione migliore può stimolare il consumatore a comprarla e a sostenerla con il massimo consenso. Per nostra fortuna Larrain qui puntella ciò includendolo a favore di un cambiamento storico positivo e condiviso, tuttavia è assodato che la sua teoria pur spostata su confini inversi mantenga solido l'influsso di cui si fa portatrice. E chissà che lo sguardo spaesato del protagonista nelle battute finali del film non voglia proprio destare la sensibile preoccupazione a riguardo.

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