Individuare in che punto della carriera si trovi Tim Burton e quali siano le sue (nuove) intenzioni, sta diventando un impresa che si complica ogni qual volta un suo nuovo film viene alla luce. Si era detto che con "Dark Shadows" avesse fatto dei passi in avanti tornando indietro verso sé stesso, ma poi inaspettatamente ecco arrivare un lavoro come "Big Eyes" ad annullare ognuno di quei passi, mostrando il prosciugamento dei connotati di un regista che credevamo di avere piuttosto inquadrato e messo a fuoco.
Neanche a farlo apposta infatti in quella trama e in quei percorsi (tratti da una storia vera) che raccontano di un marito scaltro e dominante, che si impossessa della paternità dei quadri artistici della moglie per riscuotere successo e denaro, risiede un po' l'intera sintesi di ciò che "Big Eyes" trasmette e mostra: ovvero un prodotto che è si, firmato da Burton, ma che sarebbe più semplice credere sia stato diretto da qualunque altro mestierante. Scarico delle sue vene dark, gotiche, ironiche e fiabesche il tentativo del regista allora stavolta appare simile a quello di voler mettersi alla prova per testare la destrezza e le abilità della sua versione più sobria e composta, ufficialmente non ancora affrontata e quindi di interessante visione ed esplorazione. Eppure trovare i giri giusti avendo a che fare con toni distanti, se non addirittura estranei, per lui diviene un operazione pressoché complicata e imprecisa, tant'è che dopo qualche lancio a vuoto è costretto a correre ai ripari chiedendo boccate d'ossigeno sempre più frequenti a un Christoph Waltz che - per sostituire le veci solitamente indossate da Johnny Depp - alla fine si troverà lentamente a perdere il controllo del suo personaggio trasformandolo in sagoma e caricatura.
Ma il problema maggiore di "Big Eyes" però non è neppure tanto questo, quanto il non voler mai afferrare neanche uno degli argomenti che il suo tracciato man mano sfiora, e che probabilmente potevano aiutarlo ad uscire dal fango in cui sia lui che il suo regista invece rimangono incastrati fino ad esserne inghiottiti. Dall'ossessione per la fama, alle difficoltà di una donna nell'affermare sé stessa e il suo lavoro, dai sensi di colpa di una madre messa in isolamento dalla figlia e dal mondo, alle motivazioni di un uomo che a tutti i costi aspira ad essere incensato e osannato. Insomma, a disposizione di Burton c'era abbastanza materiale per caratterizzare e colorare più intensamente il suo lavoro, nulla di particolare e molto di già visto, magari, ma in condizioni aride di terreno e precarie di equilibrio come quelle in cui ha scelto di inserirsi e di barcamenarsi munirsi di almeno uno dei tanti giubbotti di salvataggio avrebbe potuto salvaguardare sicuramente di qualche livello un contesto che asciugato anche della sua stravaganza pare esser praticamente vuoto e desolante.
Purtroppo però la certezza unica che "Big Eyes" è in grado di regalare è quella di un autore denaturalizzato talmente troppo e talmente male da riuscire a infastidire e disturbare spettatori ed adepti. Una pellicola che, a parte un paio di scene, fa veramente venire il dubbio che il vero Tim Burton, in questo momento, sia rinchiuso in ostaggio, chissà dove, in attesa di essere ritrovato e salvato. Resta da capire se da sé stesso o da qualcun altro.
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