Ma Loute - La Recensione

Ma Loute Bruno Dumont
L’ultima fatica di Bruno Dumont è un’opera a dir poco sconclusionata, una di quelle che quando la guardi non la smetti mai di rimanere spiazzato, incredulo, leggermente titubante eppure grandemente affascinato.

Dare senso e forma a “Ma Loute”, non a caso, è un compito cervellotico. Scindere le famiglie, i componenti, le deviazioni di ognuno e quella sottotrama un po’ fuori luogo, un po’ necessaria, sicuramente irresistibile, con al centro un detective a cui dire assurdo è dire poco, richiede pazienza e una raccolta d’informazioni lunga e sparpagliata. Però, alla fine dei giochi, ti accorgi che ad avergli dato fiducia e ad essere rimasto incuriosito verso una narrazione, indubbiamente, stravagante e sfilacciata, ne è valsa la pena, perché, al di là delle risate e delle follie sparse, quella raccontata da Dumont è una storia che semina e che raccoglie: magari, il minimo, magari non benissimo, ma abbastanza per colpire l’immaginario e poter mettere una firma al suo interno.
Dà l’idea di un Romeo e Giulietta spiantato e deviato, infatti, “Ma Loute”, con una componente grottesca di cui non sveliamo nulla, allacciata alla parallela ricerca di persone scomparse che, anziché venir ritrovate, continuano ad aumentare di numero. Siamo agli inizi del 1900, sulla Côte d'Opale, e una famiglia borghese, i Van Peteghem, giunge sul territorio per passare le vacanze estive. Di loro si accorgono facilmente (ricambiati, è ovvio) i Bréfort, famiglia anche loro, ma di rango totalmente opposto, poverissima, radicata in quel luogo da chissà quanto, con il Ma Loute del titolo e suo padre, ex-pescatori, che ora si occupano di far passare i loro clienti da un lato all'altro della baia: in braccio se la marea è bassa, o con la barca se invece è alta. Due mondi completamente distanti e paralleli, incapaci di comunicare, che tuttavia entrano in contatto quando tra Ma Loute e la nipote dei Van Peteghem, Billie, inaspettatamente nasce del tenero e comincia la frequentazione.

Brandon Lavieville RaphCaratterizza all'eccesso i suoi personaggi, quindi, il regista francese, per tirarne fuori il più possibile comicità no sense e momenti di massima irrazionalità, fregandosene letteralmente di ogni freno e incoraggiando i suoi attori ad esplorare a più non posso l’eccentricità e la teatralità contenuta nelle loro corde. Rimangono impressi allora un Fabrice Luchini letteralmente inverosimile, un tantino ricurvo, con un atteggiamento naif proprio della classe che rappresenta (così come di una insanità mentale di cui sapremo meglio in avanti) e una Juliette Binoche (sorella di Luchini) altrettanto squinternata, che non rivolge parola alla servitù e che quando perde i nervi sarebbe meglio evitare di esporre in pubblico. Il lato sporco e, se vogliamo, cattivo, spetta dunque, come prevedibile, a chi di ricchezza non può godere, al Ma Loute dalle orecchie a sventola, sputo in canna e viso grinzoso, molto simile nei lineamenti a quello brusco e sgraziato del padre taciturno e sempre imbronciato.
Due sponde da cui, insomma, una presumibile unione potrebbe fare nascere una cura miracolosa per entrambe; portare nel disequilibrio incontrollato delle due dinastie quel bilanciamento che a “Ma Loute” manca persino sotto il profilo filmico. Per far questo bastava che Dumont decidesse di seguire una linea meno crudele e maggiormente buonista, permettendo ai due ragazzi - forse, innamorati, forse, meno - di adempiere ad ogni costo al loro romantico incarico, raddrizzando con la forza dei sentimenti quel senso sbagliato di marcia che, sia da una parte che dall'altra, era arduo captare e poter invertire. Ma il regista, sebbene sia altamente in vena di comicità, in questo caso, preferisce essere più fatalista e condannare tutti a procedere nel senso sbagliato, nel trambusto, smorzando miraggi di risanamento per abbandonarsi ad un finale paradossale, malinconico e strappa risate, in cui perdono tutti senza nemmeno quasi accorgersene.

Lo sprigionamento di un’amarezza che va in netta contrapposizione con l’estetica incantevole e i momenti divertentissimi - a carico tutti di un detective che scorderemo davvero a fatica - di una pellicola che seppur imperfetta porta con sé pezzi e brandelli di perfezione dai quali è impossibile non rimanere abbagliati. Attimi salienti con i quali va a riscattare, se non il pieno appoggio, quantomeno un pizzico del nostro affetto.

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