Dire i perché renderebbe inutile la sua visione, andrebbe a svelare quello che è un mistero giustamente tenuto oscuro fino all’ultimo, ma è innegabile che, una volta scoperte le carte, continuare a pensare a “Scappa: Get Out” come a un film orientato ad approfondire la tematica del razzismo in maniera originale è qualcosa di praticamente impossibile e insensato. Certo, è evidente che prima del terzo atto tutto verta inesorabilmente in quella direzione, che i ragionamenti di noi spettatori prendano il largo verso spiegazioni che appaiono scontate e servite su un piatto d’argento, ma fa tutto parte di un inganno che, se da un lato è positivo per via della sua natura spiazzante, dall'altro negativo visti gli effetti regressivi portati ad un’opera dalle potenzialità magistrali.
Che quella scritta è diretta da Jordan Peele poi resti a prescindere un’idea geniale, solida e incisiva nonostante tutto, è un altro paio di maniche, così come lo è quel suo far finta di niente e tentare di tenere il punto sulla questione evitando risposte ben precise: come quella che viene data al protagonista alla domanda lecita “Perché noi neri?”, a cui si risponde con un banale “Che vuoi che ti dica?”. La sensazione allora è che gli manchi un pizzico di coraggio, forse, a “Scappa: Get Out”, quello con il quale avrebbe dovuto essere razzista fino in fondo (o provocatorio, in alternativa) e perseguire il suo obiettivo spremendo il massimo dall'assunto preso in prestito da “Indovina Chi Viene A Cena”: quello che riadatta in salsa horror, dentro un villaggio creepy di shyamalaniana memoria, con un protagonista, nero, che si ritrova a passare il week-end a casa dei genitori della sua ragazza, bianca, i quali - per inciso - malgrado abbiano una servitù rigorosamente di colore, se solo si fosse ricandidato avrebbero votato nuovamente per Obama. Stereotipi, frasi di circostanza con le quali il regista ama giocare molto e in entrambi i versi, sia quando lascia parlare i bianchi di genetica e inclinazioni in cui la nera etnia viene considerata avvantaggiata e sia quando controbilancia la faccenda mettendo in bocca al protagonista e al suo collega di lavoro frasi pregiudicanti nei confronti di chi, storicamente, ha dimostrato di non essere incline all'uguaglianza e alla parità universale. Tutto, ovviamente, per andare a scaldare, mettere maggiori dubbi o stemperare ironicamente la potenziale ambiguità posta al centro, mastice della vicenda.
Perché sebbene quella di Peele sia una pellicola che manchi di segnare il touchdown definitivo, di spendersi al 100% in base a quelle che potevano essere le sue possibilità, c’è da riconoscere comunque che la sua partita la vince lo stesso e stradominando. Preso come prodotto d’intrattenimento e sciolto dei sottotesti che gli sono stati affibbiati o di cui si è fatto carico infatti, “Scappa: Get Out” è, per distacco, una delle opere inquietanti più vivide e persuasive che si siano viste al cinema negli ultimi anni, l’unica capace di andare a raccogliere dei tabù della nostra società e cucire intorno ad essi dei sviluppi altamente disturbanti con i quali ricavare, infine, sbocchi insoliti, rivitalizzanti per un genere saturo e svigorito come quello a cui appartiene. Un merito che sa conseguire anche e soprattutto grazie all'apporto di un cast azzeccatissimo a livello trasversale, su cui spiccano, per bravura, due colonne toste e certificate come Bradley Whitford e Catherine Keener e due talenti da tenere d’occhio come Daniel Kaluuya e Allison Williams.
Così, amaro in bocca a parte - condizionato da prospettive incredibili non ghermite, ma probabilmente neppure inseguite con chissà quanta tenacia da Peeli - questo “Scappa: Get Out” conclude non tradendo affatto le (nostre) aspettative. Che poi la freccia che scocca non vada a piantarsi nel centro preciso del gradimento, ma leggermente a lato, è un’inezia, un dettaglio che farà stizzire solo i rompiscatole più esigenti e a cui gli altri, può darsi, neppure faranno (tanto) caso.
Trailer:
Che quella scritta è diretta da Jordan Peele poi resti a prescindere un’idea geniale, solida e incisiva nonostante tutto, è un altro paio di maniche, così come lo è quel suo far finta di niente e tentare di tenere il punto sulla questione evitando risposte ben precise: come quella che viene data al protagonista alla domanda lecita “Perché noi neri?”, a cui si risponde con un banale “Che vuoi che ti dica?”. La sensazione allora è che gli manchi un pizzico di coraggio, forse, a “Scappa: Get Out”, quello con il quale avrebbe dovuto essere razzista fino in fondo (o provocatorio, in alternativa) e perseguire il suo obiettivo spremendo il massimo dall'assunto preso in prestito da “Indovina Chi Viene A Cena”: quello che riadatta in salsa horror, dentro un villaggio creepy di shyamalaniana memoria, con un protagonista, nero, che si ritrova a passare il week-end a casa dei genitori della sua ragazza, bianca, i quali - per inciso - malgrado abbiano una servitù rigorosamente di colore, se solo si fosse ricandidato avrebbero votato nuovamente per Obama. Stereotipi, frasi di circostanza con le quali il regista ama giocare molto e in entrambi i versi, sia quando lascia parlare i bianchi di genetica e inclinazioni in cui la nera etnia viene considerata avvantaggiata e sia quando controbilancia la faccenda mettendo in bocca al protagonista e al suo collega di lavoro frasi pregiudicanti nei confronti di chi, storicamente, ha dimostrato di non essere incline all'uguaglianza e alla parità universale. Tutto, ovviamente, per andare a scaldare, mettere maggiori dubbi o stemperare ironicamente la potenziale ambiguità posta al centro, mastice della vicenda.
Perché sebbene quella di Peele sia una pellicola che manchi di segnare il touchdown definitivo, di spendersi al 100% in base a quelle che potevano essere le sue possibilità, c’è da riconoscere comunque che la sua partita la vince lo stesso e stradominando. Preso come prodotto d’intrattenimento e sciolto dei sottotesti che gli sono stati affibbiati o di cui si è fatto carico infatti, “Scappa: Get Out” è, per distacco, una delle opere inquietanti più vivide e persuasive che si siano viste al cinema negli ultimi anni, l’unica capace di andare a raccogliere dei tabù della nostra società e cucire intorno ad essi dei sviluppi altamente disturbanti con i quali ricavare, infine, sbocchi insoliti, rivitalizzanti per un genere saturo e svigorito come quello a cui appartiene. Un merito che sa conseguire anche e soprattutto grazie all'apporto di un cast azzeccatissimo a livello trasversale, su cui spiccano, per bravura, due colonne toste e certificate come Bradley Whitford e Catherine Keener e due talenti da tenere d’occhio come Daniel Kaluuya e Allison Williams.
Così, amaro in bocca a parte - condizionato da prospettive incredibili non ghermite, ma probabilmente neppure inseguite con chissà quanta tenacia da Peeli - questo “Scappa: Get Out” conclude non tradendo affatto le (nostre) aspettative. Che poi la freccia che scocca non vada a piantarsi nel centro preciso del gradimento, ma leggermente a lato, è un’inezia, un dettaglio che farà stizzire solo i rompiscatole più esigenti e a cui gli altri, può darsi, neppure faranno (tanto) caso.
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Io ci ho trovato analogie con Rosemary's Baby
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