L'Innocent - La Recensione

L'Innocent Poster Garrel


L’innocente del titolo potrebbe avere due letture.
La prima è quella immediata: che nella prima parte vede Abel – il personaggio di Louis Garrel – spiare in maniera maldestra – e senza successo – il nuovo compagno della madre – appena uscito di prigione – perché sospetta stia tramando qualcosa di losco alle sue spalle.
La seconda è quella che arriva più tardi: con Abel che si ritrova a dover aiutare l’uomo che stava seguendo, per mettere a segno un colpo facilissimo – rubare un carico di prezioso caviale – che gli consentirebbe di pagare i debiti e uscire per sempre dal giro.

Non è difficile immaginare, allora, che l’obiettivo principale del suo regista – che è sempre Louis Garrel (il quale firma anche la sceneggiatura con Tanguy Viel) – sia quello di andare ad amalgamare il genere della commedia romantica con quello del noir e del thriller. Cosa che a “L’Innocent” riesce benissimo, evitando qualunque rischio di terremoto o di crepa che ciò avrebbe potuto causare in termini di equilibrio e di narrazione. La storia di Abel e delle sue preoccupazioni verso una madre un po’ naïve, che ha la tendenza a cacciarsi nei guai e a farsi del male, si incastra benissimo con l’altra, parallela e intrinseca, di lui incapace a rifarsi una vita da quando un’incidente stradale gli ha portato via sua moglie (e lui era al volante).
Da una parte, quindi, abbiamo una donna capace di assecondare la sua felicità, malgrado i rischi e malgrado tutto, e dall’altra un figlio razionale e con la testa sulle spalle, che non vuole saperne di reagire e di voltare pagina. In mezzo, l’uomo misterioso che li mette in conflitto e che rappresenta una sorta di variabile impazzita. La variabile che Abel sceglie di assecondare per proteggere la madre e, forse, sotto sotto, per sbloccare sé stesso: incoraggiato dall’entusiasmo della migliore amica di sua moglie, e pure sua, per la quale potrebbe aver cominciato a provare qualcosina in più.

L'Innocent Garrel Film

In un canovaccio, dove il cliché è dietro l’angolo e dove non si fa nulla – ma volontariamente – per contraddirlo, Garrel risponde, dunque, liberando prepotente la sua cultura ed il suo amore verso il cinema e verso la recitazione. Con grandissima intelligenza, prende ogni elemento della sua pellicola e lo esalta, lo sviluppa, incastrandolo omogeneamente all’interno di un impasto dal sapore vivace ed esplosivo. Crimine e sentimenti trovano un’armonia inaspettata e la progettazione di un piano azzardato, si trasforma in un’opportunità per guardarsi dentro e pescare, attraverso la finzione, quelle parole e quelle emozioni che faticavamo a riconoscere e a tirar fuori.
Segnale evidente di una capacità di scrittura che fa il paio con quella della regia: supportata da sequenze, da inquadrature e da un lavoro di montaggio che, in momenti specifici, vanno a omaggiare quel cinema di genere a cui “L’Innocent” si è ispirato. Salvo tradirlo, poi, per strizzare l’occhio alla leggerezza, alla risata e a quel colpo a sorpresa con cui deliziare il palato (esigente) di noi spettatori.

Con tenerezza, umorismo e senza la preoccupazione di concedersi a qualche (doverosa e) piccola ruvidezza, Garrel confeziona una commedia accattivante, bizzarra, piacevolissima.
Lo fa riuscendo a toccare argomenti seri e per niente facili, con la maturità di chi sembra aver pienamente raggiunto la consapevolezza nelle sue doti e nel suo mestiere.
Chapeau!

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