The Fabelmans - La Recensione

The Fabelmans Poster

Quanto sia autobiografico “The Fabelmans” è un mistero.
Individuare la quantità di verità e di finzione che Steven Spielberg ha dosato per raccontare il periodo che va dalla sua infanzia alla fine dell’adolescenza, è un passatempo tanto curioso e affascinante quanto impossibile da decifrare: ed il primo a farcelo capire è proprio lui.
Perché in quello che è – ma senza dubbio alcuno – il suo lavoro più personale, Spielberg parla di sé (e della sua famiglia) attraverso il filtro del suo mestiere, il cinema. E il filtro del cinema – come imparerà velocemente Sammy, il suo alter-ego, passando le ore davanti a una vecchissima moviola – può essere ingannevole, alterato, controllato.

Una dichiarazione d’amore, la sua, che sboccia in tenera età con la paura delle “immagini giganti”. Paura che diventa shock di fronte alla scena dello schianto dei treni mostrato da “Il Più Grande Spettacolo Del Mondo”, ed esorcizzata solo tramite la riproposizione casalinga e fedele della stessa, registrata con la telecamera di famiglia (da più angolazioni): strumento dal quale non riuscirà più a togliere le mani. E’ il primo approccio di Sam col mondo dell’arte: quello che la madre – pianista – ha lasciato da giovane, pagandone ancora le conseguenze, e che il padre - informatico - cerca di ridimensionare chiamandolo hobby. Solo lo zio Boris riesce a prenderlo di petto e a scuoterlo, a metterlo in guardia, ad avere con lui uno scambio alla pari: severo, forse, ma schietto abbastanza da fargli capire quanto sacrificio – e solitudine? – gli costerà in futuro (proteggere e alimentare) la sua passione. Crescere, in sostanza. Fare i conti con la perdita della leggerezza, della spensieratezza; fare i conti con l'età adulta: quella che può portarti, magari per caso, ad accorgerti di come i dettagli di una storia, possano svelare i segreti di un’altra storia. Di come realtà e finzione, appunto, spesso si trovino a convergere insieme, ponendoci di fronte al dubbio su quale sia la strada migliore (meno dolorosa? più matura?) da percorrere e rivelare allo spettatore (e a noi stessi).

The Fabelmans Spielberg

Ed ecco, quindi, che “The Fabelmans” non può che andare ad aumentare il suo raggio d'azione. A ingrandire la sua portata: trasformandosi in qualcosa sì, di intimo e di privato, ma pure di assolutamente trasversale e universale. La storia di Spielberg - il suo rapporto caotico coi genitori, con le sorelle, con quest’armonia che dalla tenera età alla giovinezza comincia lentamente a stonare e a produrre ricordi meno felici, traumi e sofferenze - non ci appare mai così lontana e così distante. Dramma e commedia si intrecciano, convivono, si alternano, e in una manciata di minuti può capitare che si passi dai brividi, alla commozione e alle risate, in ordine sparso e ripetuto. E questo perché rispecchiarsi nel percorso di Sam, nelle paure che lo tormentano e negli ostacoli che incontra e che deve superare per continuare a sognare e a rimanere fedele a sé stesso, è un impulso totalmente istintivo, umano. Allo stesso modo di come è umano e istintivo condividere la sua attrazione (ossessione?) per (la forza del) l’immaginazione, la creatività e la narrazione.

Del resto cos’è “The Fabelmans” se non Cinema che illumina la via? 
Cinema che incanta e che salva la vita?
Il testamento (anticipato) di un Maestro a cui, forse, mancava di inserire ancora l'ultimo dei tasselli indispensabili. Il più importante, magari. Sicuramente quello emotivamente più sentito.
Prima di tornare, disteso, dietro la macchina da presa a divertirsi e a far divertire.
A sognare e a far sognare.
Seguendo sempre, chissà, i consigli sull'equilibrio di un mentore, davvero irresistibile.

Trailer:

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